Parità di genere: da “regalo alle donne” a strumento indispensabile per le aziende
La certificazione al centro del convegno “Pnrr & Women”: azzerare il divario è la “condizione preliminare per contribuire allo sviluppo economico e culturale del Paese”
Parità di genere come condizione imprescindibile per la crescita e lo sviluppo di un’azienda. È da qui che bisogna partire per capire l’importanza di ridurre in maniera consistente il gender gap in relazione alle opportunità di crescita in azienda, alla parità salariale e di mansioni, alle politiche di gestione delle differenze di genere e alla tutela della maternità. Una questione affrontata nell’ambito del convegno “Pnrr & Women. La certificazione della parità di genere come driver di sviluppo dell’impresa“, organizzato da associazione donne giuriste Italia-ADGI e associazione italiana giuristi d’impresa #AIGI, che si è tenuto nella sede di Confindustra, il “tempio dell’economia e delle imprese”. Con la partecipazione di numerosi ospiti autorevoli tra cui Cristina Rossello, membro della Commissione alla Camera Politiche dell’Unione europea, Chiara Gribaudo e Renata Polverini, prime due firmatarie della legge 162 del 2021 sulla certificazione della parità di genere, la dg di Confindustria Francesca Mariotti, il vice ministro del Lavoro Maria Teresa Bellucci e il sottosegretario del ministero dell’Impresa e Made in Italy Fausta Bergamotto.
L’importanza della parità di genere
“La parità di genere aziendale non solo come un beneficio esclusivo per le donne, ma anche come asset importante dello sviluppo dell’intera impresa” hanno dichiarato Florinda Scicolone, responsabile Cantiere Gender Gap di Aigi, e Irma Conti, presidente nazionale di Adgi e coordinatrice scientifica dell’evento. “Io e Irma Conti ci occupiamo, come giuriste, di parità di genere da vent’anni. In questi anni vedere come inizi a essere considerata non più solo come un regalo a noi donne, ma come un asset di sviluppo è un grande passo per un cambiamento epocale“. La diversità, in ottica di parità di genere e inclusione, significa dunque più valore, più crescita e più ricchezza per un’impresa. “Ed è condizione preliminare per affrontare la sfida di ridurre la povertà, promuovere lo sviluppo sostenibile e costruire un buon governo“, ha spiegato Irma Conti riprendendo le parole di Kofi Annan.
I dati italiani
Siamo ancora troppo lontani dalla media europea in termini di occupazione femminile. “La piena partecipazione delle donne alla vita economica e sociale del mondo del lavoro – ha ricordato la dg di Confindustria Francesca Mariotti – sia un vero e proprio asset per contribuire allo sviluppo economico e culturale del Paese. Questo perché grazie al lavoro tutte le persone hanno la possibilità di costruire di determinare la propria identità“. Il lavoro dà indipendenza economica ma anche di pensiero. Eppure se guardiamo ai dati del tasso di occupazione femminile sono drammatici. In Italia abbiamo un tasso tra i più bassi di Europa, il 49.4%. “Un trend in miglioramento – ha continuato – rispetto al 2020, 48.4% ma contro una media europea del 63.4%”. Tra l’altro il dato nazionale è condizionato da forti diversità territoriali. La strategia della parità di genere dallo scorso anno cerca di definire linee di azione per ridurre questo gap italiano a partire dall’adeguamento della domanda di lavoro all’offerta femminile. “E non c’è dubbio che una chiave di volta può essere rappresentata dalla promozione delle materie scientifiche tra le ragazze. Su questo punto ci sono dati confortanti. La presenza femminile nelle immatricolazioni delle facoltà scientifiche si attesta al 21%, se guardiamo i corsi di informatica e tecnologia su 100 iscritti solo 14 sono ragazze“. Occorre riconquistare l’amore per le materie scientifiche soprattutto tra le bambine per evitare che all’età dei sei ani si consolidi la convinzione che la matematica è roba da maschi.
La legge 162 del 2021
È in quest’ottica che va la legge 162 del 2021, nata per ridurre il divario nelle pari opportunità tra uomini e donne e introdurre criteri basati sulla meritocrazia e più trasparenti sulle procedure seguite per definire percorsi di carriera e retribuzioni. Il provvedimento porta le prime due firme di Chiara Gribaudo e Renata Polverini, presenti al convegno, entrambe politiche anche se appartenenti a due schieramenti diversi. “Proprio perché – come ha ribadito Scicolone – la lotta per la parità di genere supera qualunque colore politico“. La legge ha introdotto importanti novità con le modifiche al Codice delle Pari Opportunità. In primis abbassando a 50 il numero dei dipendenti utile a individuare le aziende obbligate a redigere un rapporto sulla situazione del personale maschile e femminile. Tra le altre informazioni l’impresa deve anche inserire lo stato di assunzioni, della formazione, della promozione professionale, dei livelli, dei passaggi di categoria o di qualifica, dei licenziamenti, dei prepensionamenti e pensionamenti, della retribuzione effettivamente corrisposta ai dipendenti dei due generi.
La certificazione della parità di genere
Ma la vera novità è proprio la certificazione della parità di genere, oggetto del convegno che le aziende virtuose possono richiedere su base volontaria agli organismi accreditati, sempre più numerosi, dalla società Accredia, per dimostrare la loro aderenza ai principi delle pari opportunità tra uomini e donne. Parametri e indicazioni tecniche funzionali al conseguimento della certificazione sono contenuti nel documento definito “Prassi di Riferimento UNI/PdR 125:2022”, riassunto nell’intervento di Giuseppe Rossi, presidente UNI- Ente italiano di normazione. “La Prassi UNI – spiega Rossi – ha individuato una serie di KPI (Key Performance Indicator), suddivisi in sei aree di indicatori che racchiudono una serie di variabili che caratterizzano una organizzazione inclusiva e rispettosa della parità di genere. Le sei aree sono cultura e strategia, governance, processi HR, opportunità di crescita ed inclusione delle donne in azienda, equità remunerativa per genere, tutela della genitorialità e conciliazione vita-lavoro“. Le imprese che ottengono la certificazione devono assicurare un costante monitoraggio degli indicatori, coinvolgendo le rappresentanze sindacali aziendali, consigliere e consiglieri territoriali e regionali di parità, e consentendo loro di esercitare il controllo e la verifica del rispetto dei parametri minimi. La legge ha introdotto un sistema premiale per tutte quelle aziende che, ottenendo la certificazione, sull’onda di quanto affermato dal sottosegretario Bergamotto, “vogliono contribuire a migliorare gli standard, attirare talenti e incrementare competitività sul mercato”.
La sfida e i prossimi passi
Un passo in avanti dunque da parte del legislatore nell’ottica di adottare le misure contenute nella Missione 5 (Inclusione e coesione) del Pnrr, investendo così le risorse previste dal piano per favorire uguali condizioni nei percorsi di carriera, stesso salario a parità di competenze, forme di sostegno alla maternità. Ottenere la certificazione comporta, per le aziende, un esonero contributivo dell’1%, un punteggio premiale per l’accesso a fondi nazionali, europei e nelle graduatorie per i bandi di gara, e un elevato livello di compliance aziendale. Ma c’è ancora tanto da fare, come ha ricordato Cristina Rossello, membro della Commissione alla Camera Politiche dell’Unione Europea, che ha anche lanciato un invito all’Aigi: “Ogni legge deve essere calata nella realtà affinché non resti un principio astratto lontano anni luce da quelle realtà che vuole tutelare. A questo proposito proviamo a istituire un osservatorio che possa aiutare quelle imprese, sprovviste di strumenti tecnici per ottenere la certificazione della parità di genere, a ottenerli mettendo su anche una rete di servizi e una banca dati e rafforziamo il dialogo con le istituzioni”.